Questo l’ultimo messaggio vocale di Fede, ore locali 13:15, giorno 10, mese di agosto, anno 2021…. cazzo è il 10 di agosto, San Lorenzo – penso – mentre la voce di Fede mi rimbomba in loop nel cervello dalla scatoletta del telefono ed è già sera, e qui, sull’i sola dell’isola dell’isola, la via lattea esplode come un Big-Beng ogni sera e le stelle sono grandi come panettoni tutto l’anno…. cazzo! …é la notte delle stelle e dei desideri…. ok, si, scrivo ok ok…. va bene…..
Agosto è il culmine del nostro inverno, emisfero australe – Madagascar – tra il tropico del capricorno e l’equatore, é freddo, ci si lava con l’acqua del fiume! ( temperatura dell’aria 18/20 gradi di notte, 28/30 di giorno ) niente elettricità solo pannelli solari! E’ tempo d’accoppiamento per i lemuri e ogni notte arrivano forti gli stridii dai combattimenti delle femmine in amore, i manghi trasformano fiori in frutti. E’ la stagione del passaggio delle balene e i “tonfi” dei loro salti si confondono, dal mare, con i tamburi tribali e i balli e le voci e il « manrombo » (battito delle mani) provenienti dalla foresta. E’ tempo di festa grande nei villaggi, i bambini maschi vengono iniziati, si circoncide – oggi si diventa “Uomini” – si balla e si canta e si beve, per tutta la notte, e per giorni, per sconfiggere la paura, per non sentire il dolore. Alle prime luci dell’alba, i bimbi saranno chiamati – un rituale che un giorno, permetterà loro di potersi accoppiare e scegliere la sposa – una lama ricavata dal bambù taglierà via un piccolo lembo di carne che verrà inghiottito dai loro padri, buttato giù, tracannato con un bicchiere di rum, a testa ferma e alta, con un movimento secco, senza esitare, affinché quel “tenerume/tenerezza/debolezza” puerile si disciolga immediatamente nelle viscere, come da tradizione ancestrale e sacra, come tutta la nostra isola, immutabilmente selvaggia, fortemente brutale, atta alla sopravvivenza, profondamente radicata nelle sue leggi, nei « fomba », nei « fady », nell’animismo intoccabile che scandisce i ritmi vitali, nella sacralità dei luoghi magici, nei suoi Antenati, i Rahazana.
La fierezza nelle pance delle donne incinta al lavoro nei campi ripidi e montagnosi a picco sul mare, la dignità scolpita nel viso dei vecchi, la fierezza nelle mani dei pescatori dispersi in mare per giorni e poi tornati. Niente qua é mite. Tutto é potente. Potenzialmente pericoloso se non conosciuto.
Ho partorito i miei figli in questa foresta, Soahindy Minà e Tombohindy Dzamiró, malgasci, figli dell’oceano indiano, dell’isola Sacra di Nosy Sakatia, isola delle orchidee e tartarughe marine giganti, mi chiamo Pamela, ho 46 anni e ho molte storie da raccontare.
Sono arrivata in Madagascar nel 2008, avevo messo in stand-by il mio lavoro di Art Director e Graphic Design in Italia, volevo staccare la spina, un anno sabbatico dopo il quale sarei volata verso la grande mela, New York, come free lance. Una carriera fulminante e intensa. Titolare d’azienda a 22 anni, un fervore creativo al top, l’ascesa veloce verso le avanguardie creative internazionali, advertising, marketing, packaging….
Poi una chiamata dal Madagascar – guida subacquea cercasi – la partenza, il non ritorno.
M’immergo, guido turisti subacquei per mare, litigo ripetutamente con un pescatore locale che mi intima di tornarmene a casa, m’insulta in malgascio, non ci capiamo, lo sposo, scappo dal Diving dove lavoro, vivo per mare e spiagge navigando per due anni con una piroga e una tenda, imparo a pescare squali e calamari, imparo a cavarmela nella foresta, fabbrico coltelli, bevo dalle pozze, mi lavo nei fiumi, scambio pesce con il riso, imparo la lingua, cerco legna e accendo fuochi per cucinare, faccio due figli, compro un terreno nella foresta tropicale sulla mia piccola isola Nosy Sakatia.
Ci separiamo – resisto – offro la mia “conoscenza” a NON turisti dai desideri forti, pronti a fare pagina bianca dentro se per dare spazio al diverso, spogliarsi di tutto, vedere con occhi nuovi, andare verso l’altro e l’altrove. Li prendo per mano, li porto in giro, gli faccio da guida, li conduco dentro la malgascitudine più vera, nella vita reale semplice e intensa di ogni giorno, parliamo con i locali nelle capanne, mangiamo con loro, io traduco – ma tutto esce dagli occhi molto prima, senza bisogno di parole – sono felici, sono felice. Siamo connessi, un’energia potente che passa, si trasforma, c’invade, a volte ci fa piangere. Li porto sotto le stelle e le lune delle lunghe notti sulle spiagge, i bagliori dei falò stagliati nel buio trafiggono di fuoco le gambe veloci dei ballerini al ritmo dirompente dei djambè, è sudore smisurato nei torsi nudi, è nero, è calore, è rum che cola, odori di fumi e incensi e oli di Ylang Ylang sui seni delle donne, ombre che si muovono, il sesso che trasuda dai corpi avvinghiati – quei piaceri e quella libertà che non possiamo concederci, svelati in un attimo, smascherati da queste immagini potenti che ci schiaffeggiano e ci spalancano gli occhi sui tabù della società occidentale, il perbenismo, una moralità distorta che controlla le nostre pulsioni annientandole, siamo anime manipolate, danneggiate, manomesse, deboli, piegate dai sensi di colpa, un occidente che domina e “mangia” sull’insoddisfazione umana, l’offuscamento, l’annichilamento, l’arrendevolezza – Dormiamo, naufraghiamo. Ci svegliamo, inspiriamo il mare dal naso, ad occhi chiusi, profondamente, Elisir di salvezza. Li riprendo per mano, li porto nella selvaggitudine per i sentieri impervi dell’Animismo e della foresta pluviale, flora e fauna tutto intorno che ci avvolgono, complici dell’indicibile, custodi dei segreti di un popolo tra rituali e magia. E’ viaggio dell’Anima. Ed è anche il mio lavoro. Divento ufficialmente guida e accompagnatrice su tutto l’arcipelago di isola in isola.
Guadagno qualcosa, inizio a ripulire il mio piccolo terreno, inizio il progetto del giardino botanico – cotone, ylang ylang, banane, Jaques fruit, papaia, caffè, the verde, pepe, avocado, mango, vaniglia, curcuma, litchi, peperoncino, cocco, limoni, arance, frappé, manioca, aloe, nony, hibiscus, rovinala – costruisco dei Bungalow di legno e foglie dell’albero del viaggiatore insieme ai locali – la mia gente – cresco i miei figli, resto. Sono fiera.
Sviluppo soluzioni Eco Sostenibili e Solidali per l’Ospitalità ricettiva e la Guest House basate sul concetto di NON Turismo. Una NON struttura ad impatto zero, completamente integrata nella natura – lavarsi con l’acqua del fiume e pannelli solari per illuminare – rispettando ogni legge e/o tradizione socioculturale locale con risultati qualitativi sorprendenti, superando ogni aspettativa!
Realizziamo la Gargotte ( ristorante ), in cui si cucina con la legna e si mangiano solo piatti locali e nostri prodotti, ci dedichiamo alla coltivazione del caffè, del riso, della vaniglia, produciamo rum dalla canna da zucchero che poi arrangiamo con spezie e frutti tropicali, abbiamo piroghe ( imbarcazioni di legno ) con le quali peschiamo – sto sul pezzo – soffro, cresco. Con me e i miei figli, 12 famiglie locali impegnate nei vari progetti, mangiamo insieme, ospitiamo i nostri NON Turisti, bivaccando in giro per le isole dell’arcipelago fuori dai circuiti turistici di massa a stretto contatto con la natura incontaminata. Un oceano indiano mai visto, quello vero! Aiutiamo nel quotidiano la comunità, senza bisogno di “etichette”, senza “appartenere” a nessun tipo di organizzazione finanziata, nessun sostegno, ce la mettiamo tutta, siamo la differenza.
Poi arriva lui. Il covid. Passa come un’influenza, ce lo siamo preso tutti, con aggravanti per i portatori di altre malattie gravi come il diabete, problemi cardiovascolari, cancro… ed ecco, per noi, senza assistenza sanitaria, arriva l’immunità di gregge. Affrontiamo le catastrofi, da questa parte del mondo, cicloni che ci spazzano via, alluvioni, locuste che trucidano i raccolti, stagioni delle piogge tre mesi con i piedi nel fango… siamo abituati alle morti “normali” per altri tipi di pandemie, malaria, ebola, peste bubbonica, morbillo, tubercolosi… Ci curiamo con le erbe, le radici, i fiori, i legni, con la potenza della medicina naturale tramandata dal sapere più esperto, da generazioni. Ma la questione covid è politica, gli interessi sono altissimi! Ci chiudono le frontiere! In un primo momento ci impongono di metterci a norma in funzione di una ipotetica riapertura, facciamo corsi, spendiamo al fine di mettere in regola lo staff, poi la chiusura diviene imperativa – con voli di rimpatrio pagati fior di quattrini da benestanti imprenditori, quindi un interesse sempre più palese a mantenere chiuse le frontiere e a lucrare sulla disperazione – due anni che ci impediscono di lavorare, il presidente incassa fior di miliardi dalle organizzazioni internazionali (aiuti economici da impiegare nella lotta contro il covid – dicono – ) e invece qua si muore di altro. E si muore per davvero. Al sud la siccità, la fame che uccide, al nord le attività in crisi, quelle turistiche completamente in ginocchio, la popolazione dilaniata dalla povertà in seguito alla chiusura prolungata delle strutture del terziario. Qua sull’arcipelago di Nosy Be almeno l’80% della popolazione è impiegata nel turismo, un numero altissimo di bambini abbandonati. Un governo che limita ed impedisce incita alla delinquenza, una instabilità sociale potenzialmente pericolosa repressa immediatamente dalle forze militari, di cui non si parla. I nostri progetti completamente bloccati e il grave rischio di non riuscire più a sostenerci. SIAMO IN EMERGENZA.
Da sempre, come del resto in molti altri paesi subtropicali, il Madagascar non è contrario all’immigrazione di stranieri ma neanche favorevole a facilitarne la permanenza. Partiamo dal presupposto imprescindibile, che, MAI il Madagascar concederà la cittadinanza ad uno straniero, neanche a me, da 15 anni residente, con figli di nazionalità malgascia, con una attività in loco che offre posti di lavoro e possibilità di crescita ai nazionali favorendo e sostenendo fortemente l’economia locale dell’isola.
Come già detto, la situazione socio-politica è bollente e si sta aggravando perché abbiamo l’impressione che in questa disagevole posizione di impotenza economica, ci sia un piano subdolo a favorire l’espulsione dal paese di noi piccoli imprenditori europei residenti. Rinnovo di carte di residenza con costi alle stelle, improvvisi adempimenti richiesti per il rinnovo delle autorizzazioni a prezzi indicibili, documenti attestanti la proprietà di stranieri sparite dagli archivi, disagi infiniti sulle pratiche da produrre se non per estorsione e pagamento di tangenti ad uffici vari e autorità più o meno competenti o anche a semplici impiegati.
Non abbiamo paura a sopravvivere, da queste parti del mondo, ci siamo abituati. In questo momento ho in tasca l’equivalente di 4 euro, e non è uno scherzo. Ma il fatto che Ci STANNO FACENDO FUORI è inaccettabile, è miseria umana indicibile. Ogni forma di potere è in mano alla corruzione organizzata che ha raggiunto livelli mai visti, soprusi, minacce, intimidazioni. E noi, stranieri residenti, in che modo possiamo proteggerci? Quali autorità in nostro soccorso? In che modo potremo garantire l’istruzione primaria ai nostri figli? Figli del mondo, meticci, che se un giorno vorranno proseguire gli studi avranno bisogno di corsi scolastici adeguati e quindi scuole private francesi con rette mensili da capogiro. In che modo potremo continuare ad aiutare la popolazione locale? A garantire gli stipendi ai nostri staff che fanno affidamento su di noi, a continuare a sostenere bambini abbandonati o dare cure a chi ce le chiede perché in difficoltà?
Sono fuoco, adesso. Colpita, schiaffeggiata, sputata, invecchiata brutalmente da anni schiaccianti, stanca di essere obbligata alla paura, all’isolamento, costretta a non fidarsi mai più – di nessuno -. Condizione aberrante dello spirito, residente straniera in terra bruciata, straniera per voi, ma non per me, che ho ancora DA DARE per questa terra. Lasciatemi si, “straniera” alle vostre leggi, alla vostra politica. Sono Animalessa, sono selvaggitudine atavica incontrollabile, sono le cose che ho imparato lontano dalla civiltà, sono Madagascar.
Resisto – ancora una volta – Rimango.